A Guido Rattoppatore

e a tutti i compagni caduti
a Roma, che mi furono fratelli.

Vorrei aver bagnato la mia penna nel vostro sangue
compagni caduti, nemici sepolti
ed essere vivo con voi nella fossa
di fango e di sangue

E invece scrivo e leggo i giornali
e la cronaca nera della reazione
senza turbarmi
senza scrivere rosso col vostro sangue

Non ho bagnato la mia penna d’aria
nel vostro sangue, fratelli caduti
sulla strada
compagni più vivi di me,
più vivi di tutti
voi soli vivi quassù
dove sole sul selciato
dove luna nel cielo e stelle
dove gli uomini guardano le scarpe
la terra sotto il cielo
e muoiono senza saperlo
come voi lo sapeste.

Ed io vorrei chiamarmi poeta
io vorrei parlare agli uomini con la vostra voce
io vorrei scrivere le vostre parole con inchiostro sangue
io vorrei essere il vostro poeta
ma mi presento come il cronista del secolo
e lo nascondo al silenzio
perché non ha bagnato la mia penna nel vostro sangue,
né, quando scorreva, nel mio

Eppure vedo gli uomini piangere e morire
e le rose di stelle alte nel vento
sugli steli di luce della notte
nell’eterna domenica del tempo
e la luna che fa nascere il cielo
le notti belle le notti d’amore
per gli uomini che non possono ancora
che soffrire e sperare
e morire.

E quando passa tra gli uomini
che non sanno, come una nave di secoli
con una vela nera il vostro carro
carico di fantasmi, pesante di sogni
perduti nel sangue
ecco, io non dico agli uomini perché sappiano
il vostro cauto cantato d’amore
quello di cui voi ci dimenticammo
nelle allegre canzoni di tutti i giorni

Voi figli veterani delle guerre
senz’armi, d’una vita miserabile
morta per non morire e viva ancora
per non vivere il rischio della morte
voi schiavi della legge che vi salva
gramo esistere, servi, uomini forse
di saluti e di perghiere, non parlate
onori elogi ipocrisie eroismi
dei morti, sono morti e non è voce
che dica le parole soffocate
dei morti e non è cuore
dei vivi che s’accordi al ritmo breve
che chiuse eterna pausa, alto silenzio

le parole non dette, le parole del buio.

e io che vorrei scrivere per gli uomini
perché sappiamo
che vorrei scrivere parole d’odio e d’amore
fiammate di parole perché brucino
in eterno il cuore degli uomini
quello che tu da vivo non hai detto,
vorrei scrivere oggi Guido, e dirlo agli altri

ma il futuro ci chiede un’altra voce
forse e non posso essere che il ladro
di me stesso rubandomi al silenzio
degli spari, al silenzio
delle carte d’un giorno, alle parole
d’un’ora che s’incidono nel vento
dei comizi, strappandomi al pantano
dei giorni grigi e muti senza poesia
pesanti come le pietre della strada
che cresce sotto il piede come un ponte
nell’abisso, che parte dalle tombe
rosse di ieri, dal cimitero dei vivi.

(Quando nei giorni della lotta il mio pugno si chiude
alla carezza, alla pietà, a indulgenza,
io dico, verso gli uomini, una piuma è per me stesso
caduto in piedi su una strada che cammina)

Questa strada compagno dove io passo
ora senza di te con te è la strada
d’allora quando tu chiamavi gli uomini
ad infittire la schiera in silenzio,
ora fatta più libera più vasta
le folle vi camminano più sicure
e l’aria è buona e l’afa, se c’è, è la stagione
l’anima più non soffoca, respira
il vento buono che corre le strade
lucenti che ora inseguono il futuro

Comincia a levarsi il vento
sulla strada dove il tuo passo
compagno faceva uomini
degni del loro dolore.

Autore: Gianni Toti

Data: 4 marzo 1944

Numero serie: 1944_0024

Temi: Guerra

Emozioni trasferite nella scrittura: Affetto; rimpianto; amarezza